“Vanno affidate agli infermieri tutte le responsabilità che meritano”
Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, a Nursind Sanità: “Per loro uno stipendio adeguato è il punto di partenza”. Sui nodi del Ssn: “Bisogna partire dall’assistenza domiciliare e dal ruolo dei medici di famiglia”
Dare una centralità concreta e forte al ruolo degli infermieri, soprattutto nell’assistenza territoriale, tanto da immaginare “gli Ospedali di prossimità affidati completamente” a loro. Di conseguenza, è necessario che abbiano “tutte le responsabilità che meritano”, perché “sanno fare sempre più cose rispetto al passato” e tuttavia devono poter contare su “uno stipendio adeguato” come “punto di partenza”. Giuseppe Remuzzi, professore di Nefrologia per ‘chiara fama’ presso l’Università di Milano, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, e da febbraio 2019 membro del Consiglio superiore di sanità, ha idee molto precise su ciò che serve al nostro Ssn per rilanciarsi e ha dedicato ampie riflessioni al ruolo degli infermieri, molte delle quali condensate nel libro uscito quest’anno ‘Le Sanguisughe di Giulietta‘, edito da Solferino. A Nursind Sanità spiega che il primo nodo riguarda l’assistenza domiciliare e il ruolo dei medici di famiglia: “Finché saranno liberi professionisti convenzionati non sarà possibile integrare il loro lavoro con le altre attività”.
Professore, si avvicina la manovra, il tema sanitario cresce nel dibattito sulle misure. Cosa serve oggi al nostro sistema salute?
Preferirei partire da cosa non serve alla sanità italiana oggi. Non serve, nella sanità come in tanti altri settori, tentare piccoli miglioramenti in diversi campi, rappresenta soltanto uno spreco di risorse. È tempo di guardare alla questione nel suo insieme. E serve soprattutto un po’ di coraggio. Il primo problema è l’assistenza domiciliare, non dobbiamo rinunciare alla capacità illimitata dei letti di casa. Per farlo però va riorganizzata l’attività dei medici di medicina generale che rappresentano la spina dorsale del sistema; ma finché i medici di medicina generale continueranno ad essere liberi professionisti convenzionati, non sarà mai possibile organizzare il loro lavoro in modo che sia integrato con le altre attività del Ssn nel campo della prevenzione e della cura delle malattie.
Insomma, bisogna focalizzarsi sulla centralità della medicina del territorio?
Serve implementare quello che il Pnrr, Missione 6, auspica e per cui ci sono i finanziamenti: le “Case della comunità”, e lì gli infermieri giocano un ruolo determinante. Servono gli Ospedali di prossimità, affidati completamente agli infermieri che possono svolgere moltissime delle attività per cui oggi la gente non sa a chi rivolgersi e finisce per arrivare al Pronto soccorso. Qui ci si deve arrivare solo dopo, e ai grandi ospedali vanno affidati compiti che richiedono competenze specialistiche e strumentazione d’avanguardia. Oggi, ogni volta che c’è un problema (aggressioni in Pronto soccorso, liste d’attesa, difficoltà ad avere una prestazione per cui si deve ricorrere al privato e tanto d’altro) ci si affida a decreti-legge che, in modo più o meno estemporaneo, cerchino di risolvere quel problema: non è questo il modo per correggere le gravi carenze del Ssn che emergono in modo sempre più drammatico di giorno in giorno.
Gli infermieri sono considerati da molti l’ossatura del Ssn. Lei ne ha difeso il ruolo. Cosa bisogna fare per rendere più attrattiva questa professione dalla quale oggi c’è una fuga sempre più grave?
Come sapete e come ho già scritto, il problema non riguarda l’Italia ma riguarda la maggior parte dei Paesi. Per la salute del mondo intero avremo bisogno di 13 milioni di infermieri in più di quelli che ci sono oggi e non li avremo. Bisogna partire da questo dato, avere un progetto e focalizzarsi su due cose, non di più. Uno stipendio adeguato è certamente il punto di partenza, ma agli infermieri che sanno fare sempre più cose rispetto al passato e le fanno con grande professionalità, competenza e dedizione, bisogna affidare tutte le responsabilità che meritano, bisogna eliminare le barriere. “Compito mio, compito tuo”, riferito ai rapporti con i medici, con i tecnici e gli altri operatori di salute, sono cose del passato. Si deve lavorare tutti insieme, ciascuno deve mettere a disposizione tutto quello che ha di conoscenze e capacità di rapportarsi con gli ammalati. Tutti dovrebbero lavorare per l’obiettivo finale che è uno solo: la prevenzione e la cura delle malattie. Il lavoro degli infermieri deve essere attraente e ci sono tutti i presupposti perché lo sia, ma è importante che i medici, e ancora di più chi governa la sanità, se ne rendano conto.
Il sindacato Nursind prima dell’estate ha proclamato lo stato di agitazione. La richiesta di una maggiore valorizzazione delle competenze per gli infermieri e di un aumento dell’indennità di specificità le sembrano motivazioni valide per la mobilitazione?
Secondo me per medici, infermieri, tecnici, insomma, per tutti coloro che lavorano negli ospedali lo sciopero non è il modo giusto per far emergere i loro problemi. Lo sciopero danneggia gli ammalati e chi ha bisogno di noi (pensate solo a un ammalato che dopo aver aspettato 10 giorni un intervento chirurgico, con tutte le ansie che questo comporta, se lo vede spostare perché… c’è sciopero!). No, secondo me medici e infermieri non dovrebbero scioperare mai, sarebbe molto meglio invece che per uno, due o tre giorni, a seconda di quanto sarebbe dovuto durare lo sciopero, rinunciassero allo stipendio a favore di qualche cosa, che andrà studiato di volta in volta, che vada a vantaggio degli ammalati. Questo avrebbe un’enorme risonanza, molto più dello sciopero, sui mezzi di informazione e gli ammalati ce ne sarebbero grati.
Cosa dovrebbe fare il governo per scongiurare lo sciopero?
Quanto detto prima risolve anche il problema di cosa dovrebbe fare il governo per scongiurare lo sciopero. Se non si sciopera, nulla. Il governo dovrebbe invece concentrare i propri sforzi ad affrontare il problema degli infermieri nell’ambito di tutti i problemi del Ssn e farlo presto. Non si può pensare a qualcosa che serva agli infermieri se non serve al sistema nella sua globalità, non funzionerà mai.
Al di là degli aspetti economici, quali pensa che siano gli elementi di maggiore resistenza rispetto a una revisione delle regole dell’esercizio professionale?
Il problema maggiore di una revisione delle regole dell’esercizio della professione dipende in primo luogo dagli infermieri, che con la mania di voler essere diversi dai medici (basti pensare alla cartella infermieristica che non serve a niente e fa solo perdere tempo), qualche volta sono i primi nemici degli infermieri, poi dei medici, che non sempre capiscono quanto preziosi siano gli infermieri per il successo del loro lavoro, e ancora di più di chi governa la sanità a livello centrale ma anche a livello di ciascuna realtà, da quelle più piccole (Case della comunità) alle più grandi (distretto e ospedale).
Lei è anche componente del Consiglio superiore di sanità. A suo avviso, è normale che nelle articolazioni del ministero non ci siano ruoli di rappresentanza riservati agli infermieri?
Nelle articolazioni del ministero sicuramente non è normale che non ci siano rappresentanti degli infermieri. Per quanto riguarda il Consiglio superiore di sanità in realtà gli infermieri sono rappresentati, al punto che il vicepresidente del Consiglio stesso è un’infermiera che è anche consigliere della Sezione II. Non solo, ma ogni volta che il Consiglio superiore di sanità crea una commissione per affrontare qualunque problema, c’è sempre grande attenzione al fatto che fra i membri della commissione ci sia una rappresentanza degli infermieri. Si può sempre fare di più e meglio, ma non si può dire che il Consiglio non sia stato e non sia sensibile a questo problema.